Giardino - Il racconto del progetto
Io sono il giardino
Un giardino pieno di sole
Un giardino subacqueo
Morbido, leggero, come una sfoglia dura
Su cui scorrono il vento e l’acqua
Sottile come il rame
La mia superficie non è piana, si muove,
s’incurva nelle tre dimensioni.
Così la pittura non è più una finestra
Sull’altro mondo.
E’ l’altro mondo.
La pittura non rappresenta più.
E’.
Ciò che si crea è un nuovo oggetto, vergine,
il nuovo giardino.
Un gioco.
Io non rappresento più il giardino.
Lo creo.
Un giardino pieno di sole
Un giardino subacqueo
Morbido, leggero, come una sfoglia dura
Su cui scorrono il vento e l’acqua
Sottile come il rame
La mia superficie non è piana, si muove,
s’incurva nelle tre dimensioni.
Così la pittura non è più una finestra
Sull’altro mondo.
E’ l’altro mondo.
La pittura non rappresenta più.
E’.
Ciò che si crea è un nuovo oggetto, vergine,
il nuovo giardino.
Un gioco.
Io non rappresento più il giardino.
Lo creo.
Nell’aprile 2003 mi è stato proposto di studiare un’idea per un quadro di grandi dimensioni, da sistemare nell’entrata di una casa privata, in via della Rocca, a Torino.
Dopo un sopralluogo per valutare l’ambiente, la luce e, più in generale, lo spirito della casa, ho scelto, fra una decina di soluzioni possibili, di lavorare sulle due che, fin da subito, mi erano sembrate le più interessanti, fondendole in un’unica proposta.
Dopo aver realizzato e mostrato ai committenti alcuni studi ed un bozzetto in scala 1:10 dell’opera, ho ricevuto l’approvazione definitiva del progetto.
In quel momento avevo solo una vaga idea di come realizzarlo dal punto di vista tecnico e dei materiali, le cui scelte, avendo io deciso di allontanarmi moltissimo dal concetto di “quadro”, si presentavano piuttosto complesse.
In seguito le ulteriori elaborazioni e la messa a punto del progetto mi hanno portato molto distante da quella “vaga idea”, spingendomi all’ utilizzo di tecniche e materiali che si sono rivelati per me delle vere scoperte.
Avevo invece piuttosto chiaro in mente dove volevo arrivare dal punto di vista compositivo e concettuale ed avrei in seguito, nel corso della realizzazione, a poco a poco e con diversi ripensamenti, trovato l’espressione plastica ed estetica più soddisfacente per trasmettere l’idea che m’interessava.
Jean Tinguely dice: “Il sogno è tutto, la tecnica è niente, la tecnica si può imparare”.
La realizzazione materiale dell’opera ha avuto inizio nella prima metà del mese di agosto; vi è stata una prima fase di lavoro sulle forme ed una successiva sui colori.
A novembre, durante il montaggio dei vari pezzi sulle basi di legno, sollevando uno di essi (quello arancione) è sbucata fuori una piccola lucertola. A me è parso un buon auspicio: le lucertole frequentano volentieri i giardini, ed inoltre sono simbolo dell’ “anima che cerca la luce”, perché sono irresistibilmente attratte dalla luce del sole. Il mattino dopo la lucertola, uscita allo scoperto, è stata catturata e liberata al Parco del Valentino.
Il 16 novembre, intorno alle 11 di sera, l’opera è finalmente terminata.
Il 17 novembre è stata montata sulla parete per cui era destinata.
Il “Giardino” è stato interamente realizzato a Torino, nel mio studio di via Goito 12, al piano terreno.
Dopo un sopralluogo per valutare l’ambiente, la luce e, più in generale, lo spirito della casa, ho scelto, fra una decina di soluzioni possibili, di lavorare sulle due che, fin da subito, mi erano sembrate le più interessanti, fondendole in un’unica proposta.
Dopo aver realizzato e mostrato ai committenti alcuni studi ed un bozzetto in scala 1:10 dell’opera, ho ricevuto l’approvazione definitiva del progetto.
In quel momento avevo solo una vaga idea di come realizzarlo dal punto di vista tecnico e dei materiali, le cui scelte, avendo io deciso di allontanarmi moltissimo dal concetto di “quadro”, si presentavano piuttosto complesse.
In seguito le ulteriori elaborazioni e la messa a punto del progetto mi hanno portato molto distante da quella “vaga idea”, spingendomi all’ utilizzo di tecniche e materiali che si sono rivelati per me delle vere scoperte.
Avevo invece piuttosto chiaro in mente dove volevo arrivare dal punto di vista compositivo e concettuale ed avrei in seguito, nel corso della realizzazione, a poco a poco e con diversi ripensamenti, trovato l’espressione plastica ed estetica più soddisfacente per trasmettere l’idea che m’interessava.
Jean Tinguely dice: “Il sogno è tutto, la tecnica è niente, la tecnica si può imparare”.
La realizzazione materiale dell’opera ha avuto inizio nella prima metà del mese di agosto; vi è stata una prima fase di lavoro sulle forme ed una successiva sui colori.
A novembre, durante il montaggio dei vari pezzi sulle basi di legno, sollevando uno di essi (quello arancione) è sbucata fuori una piccola lucertola. A me è parso un buon auspicio: le lucertole frequentano volentieri i giardini, ed inoltre sono simbolo dell’ “anima che cerca la luce”, perché sono irresistibilmente attratte dalla luce del sole. Il mattino dopo la lucertola, uscita allo scoperto, è stata catturata e liberata al Parco del Valentino.
Il 16 novembre, intorno alle 11 di sera, l’opera è finalmente terminata.
Il 17 novembre è stata montata sulla parete per cui era destinata.
Il “Giardino” è stato interamente realizzato a Torino, nel mio studio di via Goito 12, al piano terreno.
Giallo, arancio, rosa
Caldo, leggero, materico
Movimento, vita, nascita
L’esigenza immediata, una volta valutato lo spazio che doveva ospitare l’opera, è stata di creare qualcosa con questi elementi: colore, materia, leggerezza, movimento. A questi si è aggiunto il desiderio di dare vita all’ambiente, con l’intenzione di“portare il giardino in casa”: un giardino ideale e sconosciuto, artificiale e vivo, evocativo, simbolico ed oggettivo allo stesso tempo.
Avevo però la sensazione che caratteristiche così diverse, a volte anche in contrasto fra loro, non si potessero adattare facilmente ad un quadro, in questo caso un contenitore di forme e colori ancora troppo rigido.
Non volevo aprire sulla parete una finestra con la rappresentazione di un giardino, per quanto astratta o distorta potesse essere: volevo il giardino stesso, con forme, colori, materiali, ombre, luci, spazi da utilizzare come elementi compositivi, e chiamare a farne parte la stessa parete di fondo. Così le forme hanno cominciato a liberarsi, a muoversi, a cercare una terza dimensione, per non essere più il supporto dell’immagine di un oggetto, ma l’oggetto stesso.
L’opera intende comunque rimanere sostanzialmente pittorica, rifacendosi al concetto di “peinture sculptée” formulato da Dubuffet, che ben si differenzia dalla scultura dipinta”: “Si tratta di pittura che, emancipata dalla sua cornice e dal suo supporto piano, dà la scalata allo spazio; di pittura, diciamo, “espansa”.
Ho escluso fin dall’inizio il ricorso a qualunque elemento realmente naturalistico (fiori finti, fiori secchi, rami, ecc…): questo giardino è un mondo senza riferimenti riconoscibili, e lascia pertanto assolutamente aperto lo spazio alle interpretazioni, alle “visioni”, alla partecipazione dello spettatore.
La scelta dei materiali, molti dei quali non erano da me mai stati utilizzati, è avvenuta gradualmente, in maniera empirica, facendo valutazioni ed esperimenti che hanno determinato di volta in volta quelli da impiegare e quelli da escludere.
In questo ambito ci sono stati molti ripensamenti, correzioni, rifacimenti, nel corso di tutta la realizzazione dell’opera.
La scelta dei colori si è mantenuta sostanzialmente fedele al bozzetto iniziale, con l’aggiunta di elaborazioni, contrappunti, dettagli e sfumature per rendere più ampia ed armonica la gamma cromatica.
Ho voluto usare il colore in maniera espressiva, e non oggettiva né naturalistica, rifacendomi all’uso qualitativo e compositivo del colore che fanno i bambini.
Caldo, leggero, materico
Movimento, vita, nascita
L’esigenza immediata, una volta valutato lo spazio che doveva ospitare l’opera, è stata di creare qualcosa con questi elementi: colore, materia, leggerezza, movimento. A questi si è aggiunto il desiderio di dare vita all’ambiente, con l’intenzione di“portare il giardino in casa”: un giardino ideale e sconosciuto, artificiale e vivo, evocativo, simbolico ed oggettivo allo stesso tempo.
Avevo però la sensazione che caratteristiche così diverse, a volte anche in contrasto fra loro, non si potessero adattare facilmente ad un quadro, in questo caso un contenitore di forme e colori ancora troppo rigido.
Non volevo aprire sulla parete una finestra con la rappresentazione di un giardino, per quanto astratta o distorta potesse essere: volevo il giardino stesso, con forme, colori, materiali, ombre, luci, spazi da utilizzare come elementi compositivi, e chiamare a farne parte la stessa parete di fondo. Così le forme hanno cominciato a liberarsi, a muoversi, a cercare una terza dimensione, per non essere più il supporto dell’immagine di un oggetto, ma l’oggetto stesso.
L’opera intende comunque rimanere sostanzialmente pittorica, rifacendosi al concetto di “peinture sculptée” formulato da Dubuffet, che ben si differenzia dalla scultura dipinta”: “Si tratta di pittura che, emancipata dalla sua cornice e dal suo supporto piano, dà la scalata allo spazio; di pittura, diciamo, “espansa”.
Ho escluso fin dall’inizio il ricorso a qualunque elemento realmente naturalistico (fiori finti, fiori secchi, rami, ecc…): questo giardino è un mondo senza riferimenti riconoscibili, e lascia pertanto assolutamente aperto lo spazio alle interpretazioni, alle “visioni”, alla partecipazione dello spettatore.
La scelta dei materiali, molti dei quali non erano da me mai stati utilizzati, è avvenuta gradualmente, in maniera empirica, facendo valutazioni ed esperimenti che hanno determinato di volta in volta quelli da impiegare e quelli da escludere.
In questo ambito ci sono stati molti ripensamenti, correzioni, rifacimenti, nel corso di tutta la realizzazione dell’opera.
La scelta dei colori si è mantenuta sostanzialmente fedele al bozzetto iniziale, con l’aggiunta di elaborazioni, contrappunti, dettagli e sfumature per rendere più ampia ed armonica la gamma cromatica.
Ho voluto usare il colore in maniera espressiva, e non oggettiva né naturalistica, rifacendomi all’uso qualitativo e compositivo del colore che fanno i bambini.
La scelta del materiale di base si è orientata in un primo momento verso il legno compensato; ma a ben vedere questo materiale avrebbe mantenuto una rigidità che avrei preferito eliminare, sarebbe stato più impegnativo da tagliare e da lavorare ed avrebbe complessivamente avuto un peso eccessivo. Successivamente, in modo anche un po’ casuale, ho trovato nei pannelli per isolamento in poliestere un materiale di facile lavorazione, deformabile con i solventi e con la fiamma, facile da forare, leggerissimo ed insensibile agli sbalzi termici. I lati negativi consistevano nella sua sensibilità alla luce ed ai colpi, e soprattutto nell’aspetto privo di fascino materico. A questo ho ovviato ricoprendo interamente le varie parti, una volta tagliate e lavorate, con una mestica di tempera, colla e gesso, che fungesse da isolante alla luce e mi fornisse una base per i rivestimenti (carte, colori, ecc..).Vista la collocazione e l’assenza in generale di bambini in casa, ho valutato che con un minimo di accortezza non avrebbe dovuto rischiare di subire colpi violenti.
Ho realizzato una scansione computerizzata del bozzetto, ed ho ridisegnato le varie forme con Autocad, in modo da poterne stampare poi una dima in scala 1:1 per il taglio dei pannelli.
Una volta dipinte e decorate con varie tecniche le forme, ho realizzato delle basi in compensato (una per ogni grande gruppo) sulle quali ho poi fissato le sagome in modo da poterle trasportare e fissare saldamente al muro tramite tasselli.
Per disporre correttamente sulla parete secondo il progetto le varie parti dell’opera è stato necessario realizzare un rilievo minuzioso della parete stessa, fissando dei punti provvisti di coordinate secondo il disegno in precedenza creato in Autocad, e riportando i medesimi punti sulla parete.
Per l’ideazione e la realizzazione del progetto ho preso come riferimento alcuni artisti verso le cui opere il mio lavoro è certamente debitore.
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Ho realizzato una scansione computerizzata del bozzetto, ed ho ridisegnato le varie forme con Autocad, in modo da poterne stampare poi una dima in scala 1:1 per il taglio dei pannelli.
Una volta dipinte e decorate con varie tecniche le forme, ho realizzato delle basi in compensato (una per ogni grande gruppo) sulle quali ho poi fissato le sagome in modo da poterle trasportare e fissare saldamente al muro tramite tasselli.
Per disporre correttamente sulla parete secondo il progetto le varie parti dell’opera è stato necessario realizzare un rilievo minuzioso della parete stessa, fissando dei punti provvisti di coordinate secondo il disegno in precedenza creato in Autocad, e riportando i medesimi punti sulla parete.
Per l’ideazione e la realizzazione del progetto ho preso come riferimento alcuni artisti verso le cui opere il mio lavoro è certamente debitore.
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